In un contesto economico sempre più complesso e interconnesso, la gestione dei marchi registrati rappresenta un elemento cruciale per le imprese. Nella pratica legale sovente si presentano situazioni complicate dalla modifica, nel tempo, dei rapporti tra soci, contitolari di diritti. Il più delle volte il tutto si risolve con il comprendere, e soprattutto accettare, che il proprio diritto di portare a reddito un bene possa trovare un limite nel diritto di veto di un comproprietario.
La recente sentenza della Corte di Cassazione (Cassazione civile, Sez. I, sentenza 19 aprile 2024, n. 10637) ha fornito un importante chiarimento sul tema delle licenze concesse su marchi detenuti in comproprietà, sottolineando la necessità del consenso unanime dei contitolari per poterne monetizzare il diritto d’uso. Questa decisione assume particolare rilievo per la tutela e la valorizzazione dei diritti industriali, nonché per la prevenzione di possibili conflitti tra i comproprietari.
Il caso che ha portato alla sentenza
La pronuncia della Cassazione trae origine da una controversia sorta tra i contitolari di un marchio italiano riguardante la concessione di una licenza esclusiva a terzi. Il marchio in questione è relativo a capi di abbigliamento sportivo ma il caso è estendibile anche al settore della bomboniera e oggettistica da regalo.
In particolare, nel 1993, con il consenso unanime, i contitolari avevano concesso una licenza esclusiva per l’uso del marchio. Tuttavia, alla scadenza della licenza, in prossimità del mese di dicembre 2006, uno dei contitolari si era opposto al rinnovo, manifestando il proprio dissenso a che la concessione proseguisse ulteriormente.
L’opposizione ha innescato un dibattito giuridico che è giunto fino alla Corte di Cassazione che ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale ha così risposto: «la questione se la concessione di una licenza d’uso, o il recesso dal relativo contratto, di un marchio nazionale o di un marchio dell’Unione europea detenuto in comproprietà richieda una decisione unanime dei contitolari o una decisione adottata a maggioranza di questi ultimi dev’essere risolta in base al diritto nazionale applicabile».
Tale interpretazione, basata sulle norme civilistiche generali, fornisce una guida chiara per i contitolari di marchi, delineando un quadro normativo che tutela equamente i diritti di ciascuno.
Articoli di riferimento
Secondo la Corte, la fattispecie va considerata soggetta alle regole di amministrazione della cosa comune (artt. 1105 e 1108 codice civile) compatibili con le caratteristiche del marchio. Del resto, ai sensi dell’art. 6 del codice della proprietà industriale, «se un diritto di proprietà industriale appartiene a più soggetti, le facoltà relative sono regolate, salvo convenzioni in contrario, dalle disposizioni del codice civile relative alla comunione in quanto compatibili».
Dal suo canto, il codice civile, all’art. 1102, prevede che «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto» e, all’art. 1108, disciplina gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione.
Sulla base di ciò, per la Corte di Cassazione, la concessione di una licenza esclusiva costituisce un atto eccedente l’ordinaria amministrazione (in quanto altera significativamente la disponibilità del marchio e i diritti di ciascun contitolare) e, di conseguenza, per tali atti, è necessario il consenso unanime.
Viene cassata, quindi, l’impugnata sentenza (della Corte d’Appello di Napoli per la quale non sussisteva la necessità di una deliberazione unanime da parte dei comunisti) e disposto il rinvio alla medesima Corte, in diversa composizione, per nuovo esame. Ne discendono importanti conseguenze per la gestione dei marchi in comproprietà: tutti i soci, ciascuno per la propria quota, devono essere consapevoli che le scelte relative alla concessione di licenze esclusive richiedono il consenso unanime per essere valide.
In prospettiva futura, i contitolari di marchi, come di altri beni intangibili, dovranno adottare maggiore attenzione e trasparenza, applicando prassi collaborative e preventive per evitare conflitti e garantire un governo armonioso dei marchi in comproprietà.
Questa sentenza, nel sottolineare l’importanza del consenso unanime per gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione dei marchi in comunione, offre un punto di riferimento importante per comprendere le complesse dinamiche della proprietà industriale in un contesto di comunione, contribuendo a rafforzare la certezza del diritto e la tutela dei diritti dei contitolari.