lunedì, Aprile 28, 2025

Crollo delle nascite in Italia, 6 neonati per mille abitanti

Culle sempre più vuote nel nostro paese, dove l’Istat registra un calo della natalità irrefrenabile, con una media di 1,2 figli per donna

Gli indicatori demografici relativi al 2023, pubblicati lo scorso marzo dall’Istat, fotografano una realtà sconfortante per l’Italia. Con appena 379 mila bambini venuti al mondo, il 2023 registra l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Un processo, quello della denatalità, che dal 2008 (577 mila nascite) non ha conosciuto soste. Calano anche i decessi (661 mila), l’8% in meno sul 2022, dato più in linea con i livelli pre-pandemici rispetto a quelli che hanno caratterizzato il triennio 2020-22. Da quanto detto sopra emerge un saldo naturale ancora fortemente negativo (-281 mila unità).

Le iscrizioni dall’estero (416 mila) e le cancellazioni per l’estero (142 mila) determinano un saldo migratorio con l’estero positivo di 274 mila unità. In tali condizioni, che consentono di compensare quasi totalmente il deficit dovuto alla dinamica naturale con una dinamica migratoria favorevole, la popolazione residente ha la possibilità di rimanere, almeno sul piano numerico, in sostanziale equilibrio.

Secondo i dati provvisori dell’Istat, al 1° gennaio 2024 la popolazione residente in Italia era pari a 58 milioni 990 mila unità, in calo di 7 mila unità rispetto alla stessa data dell’anno precedente (-0,1 per mille abitanti). Confermando quanto già emerso nel 2022 (-33 mila unità) prosegue il rallentamento del calo di popolazione che, dal 2014 al 2021 (-2,8 per mille in media annua), ha contraddistinto il paese nel suo insieme.

La variazione della popolazione nel 2023 rivela un quadro eterogeneo tra le ripartizioni geografiche. Nel Mezzogiorno la variazione è negativa, peraltro consistente nella misura del -4,1 per mille. Nel Nord, invece, la popolazione aumenta del 2,7 per mille. Stabile quella del Centro (+0,1 per mille). A livello regionale, la popolazione risulta in aumento soprattutto in Trentino-Alto Adige (+4,6 per mille), in Lombardia (+4,4) e in Emilia-Romagna (+4,0). Le regioni, invece, in cui si è persa più popolazione sono la Basilicata (-7,4) e la Sardegna (-5,3). I trasferimenti di residenza tra comuni hanno coinvolto un milione e 444 mila cittadini, in diminuzione rispetto al 2022 (-1,8%).

Fecondità quasi al minimo storico

Esaminando i dati relativi alle nascite nel dettaglio, il tasso di natalità registrato nel 2023 è del 6,4 per mille (era 6,7 nel 2022). La diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è di 14 mila unità (-3,6%). Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197 mila unità (-34,2%). La riduzione della natalità riguarda indistintamente nati di cittadinanza italiana e straniera. Questi ultimi, pari al 13,3% del totale dei neonati, sono 50 mila, 3 mila in meno rispetto al 2022.

La diminuzione del numero dei nati residenti del 2023 è determinata sia da una importante contrazione della fecondità, sia dal calo della popolazione femminile nelle età convenzionalmente riproduttive (15-49 anni), scesa a 11,5 milioni al 1° gennaio 2024, da 13,4 milioni che era nel 2014 e 13,8 milioni nel 2004. Anche la popolazione maschile di pari età, tra l’altro, subisce lo stesso destino nello stesso arco temporale, passando da 13,9 milioni nel 2004 a 13,5 nel 2014, fino agli odierni 12 milioni.

Il numero medio di figli per donna scende così da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi di molto al minimo storico di 1,19 figli registrato nel lontano 1995. La contrazione del numero medio di figli per donna interessa tutto il territorio nazionale. Nel Nord diminuisce da 1,26 figli per donna nel 2022 a 1,21 nel 2023, nel Centro da 1,15 a 1,12. Il Mezzogiorno, con un tasso di fecondità totale pari a 1,24, il più alto tra le ripartizioni territoriali, registra una flessione inferiore rispetto all’1,26 del 2022.

In tale contesto, riparte la posticipazione delle nascite, fenomeno di significativo impatto sulla riduzione generale della fecondità, dal momento che più si ritardano le scelte di maternità più si riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. Dopo un biennio di sostanziale stabilità, nel 2023, l’età media al parto si porta a 32,5 anni (+0,1 sul 2022). Tale indicatore, in aumento in tutte le ripartizioni, continua a registrare valori nel Nord e nel Centro (32,6 e 32,9 anni) superiori rispetto al Mezzogiorno (32,2), dove però si osserva l’aumento maggiore sul 2022 (era 32,0).

Passata la turbolenta fase pandemica e immediatamente post-pandemica, a cui si devono attribuire parte delle irregolari variazioni congiunturali rilevate, la discesa della fecondità sembra riprendere ovunque, accompagnata da una rinnovata spinta alla posticipazione. Nord e Mezzogiorno, dopo aver registrato lo stesso livello di fecondità nel 2022, si discostano nuovamente. Il Mezzogiorno, dopo venti anni, torna a avere una fecondità superiore a quella del Centro-nord.

Non è nemmeno di supporto alla natalità, almeno non più come un tempo, l’andamento dei matrimoni, 183 mila nel 2023 (-6 mila sul 2022). Tra questi risultano in forte riduzione quelli celebrati con rito religioso (-8 mila) mentre aumentano quelli celebrati con rito civile (+2 mila). Complessivamente, nel 2023, il tasso di nuzialità continua lievemente a scendere, portandosi al 3,1 per mille dal 3,2 del 2022. Il Mezzogiorno continua a essere la ripartizione con il tasso più alto, 3,5 per mille contro 2,9 per mille di Nord e Centro. Allo stesso tempo è però l’area in cui la contrazione sul 2022 risulta maggiore.

 

I dati per regione

Il Trentino-Alto Adige, con un numero medio di figli per donna pari a 1,42, continua a detenere il primato della fecondità più elevata del paese, sebbene sia tra le regioni con la variazione negativa maggiore rispetto al 2022 (1,51). Seguono Sicilia e Campania, con un numero medio di figli per donna rispettivamente pari a 1,32 e 1,29 (contro 1,35 e 1,33 nel 2022). In queste tre regioni le neo-madri risultano mediamente più giovani che nel resto del paese: 31,7 anni l’età media al parto in Sicilia; 32,2 anni in Trentino-Alto Adige e Campania.

La Sardegna continua a essere la regione con la fecondità più bassa. Stabilmente collocata sotto il livello di un figlio per donna per il quarto anno consecutivo, nel 2023 si posiziona a 0,91 figli (0,95 nel 2022). La precedono altre due regioni del Mezzogiorno: la Basilicata, dove il numero medio di figli per donna scende da 1,10 nel 2022 a 1,08 nel 2023; il Molise rimasto stabile a 1,10. La Sardegna e la Basilicata sono, insieme al Lazio, le tre regioni in cui il calendario riproduttivo risulta più posticipato, con età medie al parto rispettivamente pari a 33,2, 33,1 e 33 anni.

Stati Generali della Natalità 2024

Secondo le proiezioni Istat, nel 2050 ogni 100 giovani gli anziani saranno più di 300, mentre le nascite calerebbero fino a 350 mila. Questo sconfortante panorama è stato illustrato nel corso della quarta edizione degli Stati Generali della Natalità dal titolo “Esserci – più giovani più futuro” che si è svolta dal 9 al 10 maggio scorso, all’Auditorium della Conciliazione a Roma. L’iniziativa è stata promossa dalla Fondazione per la Natalità che per l’occasione ha pubblicato il report “Esserci – più giovani più futuro. Dai numeri alla realtà”realizzato in collaborazione con l’Istat.

Il documento approfondisce i dati già citati e sottolinea anche come, tra i 18 e i 34 anni, più di 2 giovani su 3 vivono ancora con i genitori, mentre nel resto d’Europa sono 1 su 2. E ancora che in 8 casi su 10 ci sono difficoltà che non consentono alle coppie di realizzare il proprio desiderio di famiglia. Per compensare lo squilibrio generazionale occorre investire sulle nuove generazioni, valorizzando di più i giovani.

«Il problema della natalità in Italia – ha sottolineato Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità – non è né una questione economica né culturale, ma di libertà. Non sono libere le coppie che vorrebbero avere un figlio o farne un altro, in Italia la nascita di un figlio è il secondo fattore di incidenza nella povertà. Non sono libere le donne costrette ancora a scegliere tra maternità e carriera. Non sono liberi i giovani, con il loro tasso di occupazione saldamente all’ultimo posto tra i paesi dell’Unione Europea, precari nel lavoro e nella vita. L’analisi è chiara, ora serve la sintesi della politica. Abbiamo bisogno di un obiettivo condiviso anche perché non servono i bonus, ma riforme strutturali come il quoziente familiare. Altrimenti perderemo la partita senza nemmeno aver provato a giocarla».

Dal report Ocse il confronto con gli altri paesi

Il rapporto dell’Ocse “Society at a Glance 2024” permette di confrontare la tendenza alla denatalità italiana con i dati degli altri paesi. Il tasso di fecondità totale (tft) italiano si conferma tra i più bassi, 1,2 figli per donna, un primato negativo condiviso con un altro paese del Mediterraneo, la Spagna. Fa peggio solo la Corea del Sud con un tasso stimato di 0,7 figli per donna nel 2023.

L’organizzazione, che ha sede a Parigi, evidenzia «un’ampia tendenza» verso un aumento della mancanza di figli in tutti i paesi dell’Ocse, «ma la portata di questa tendenza varia a seconda dei paesi». Tutti i paesi dell’Ocse registrano «un declino di lungo termine del tasso di fecondità totale», in media il tft è diminuito costantemente tra il 1960 e il 2002. Negli anni dal 2000 fino al 2008 c’è stata una piccola ripresa della fertilità («una battuta d’arresto temporanea»), dopodiché il tasso è sceso al minimo storico di 1,5 nel 2022. Un valore ben al di sotto del “livello di sostituzione” di 2,1 bambini per donna. Tra i paesi Ocse nel 2022, «il tasso più alto è stato registrato in Israele con 2,9 figli per donna, seguito da Messico e Francia con 1,8 figli per donna».

In Italia i tassi di fertilità sono costantemente inferiori alla media Ocse ormai dal 1960 e l’assenza permanente di figli è raddoppiata dall’11% per le donne nate nel 1951 al 22% per le donne nate nel 1975 (terzo valore al mondo dopo Giappone e Spagna).

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