giovedì, Novembre 14, 2024

L’uso di un marchio d’impresa per fini di espressione artistica

Dopo la fine della sua storia d’amore con Gerard Piqué, ex calciatore spagnolo, Shakira canta: “Hai scambiato una Ferrari con una Twingo e un Rolex con un Casio”. La famosa cantautrice colombiana aveva conosciuto Piqué, con cui ha avuto due figli, nel 2010, in Sudafrica, in occasione della realizzazione del video dell’inno ufficiale del campionato mondiale di calcio. In questa canzone Shakira urla tutta la sua rabbia contro l’ex compagno e la sua giovane fidanzata, la modella Clara Chia Marti che, nel brano, viene associata a due famosi marchi richiamati sostanzialmente in senso spregiativo e intesi come marchi di scarso valore.
Se il successo discografico è indiscutibile e la popstar è riuscita a raggiungere, in pochissimi giorni, un numero impressionante di visualizzazioni, i versi sopracitati offrono anche lo spunto per analizzare quando è possibile, o meno, utilizzare un marchio altrui in un contesto artistico, in mancanza del consenso del suo titolare.
Ricordiamo, infatti, che, secondo il Codice della Proprietà industriale, il titolare di un marchio d’impresa ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica un segno uguale e/o simile per prodotti o servizi identici e/o affini, così come più precisamente indicato nell’articolo 20.
In un caso come quello in esame, prima di tutto, è necessario circoscrivere quali sono i diritti e gli interessi giuridicamente tutelati: diritto del titolare del marchio, da un lato, e diritto della libertà di parola, dall’altro. Diritto a preservare la reputazione e l’immagine del marchio verso diritto di espressione artistica. Insomma, il verso “Hai scambiato una Ferrari con una Twingo e un Rolex con un Casio” si può ritenere un’offesa alle case produttrici Renault e Casio?
Secondo la direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2015: “L’uso di un marchio d’impresa da parte di terzi per fini di espressione artistica dovrebbe essere considerato corretto a condizione di essere al tempo stesso conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale. Inoltre, la presente direttiva dovrebbe essere applicata in modo tale da assicurare il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare della libertà di espressione”.
Il confine tra i diritti in gioco, pertanto, va ricercato nel quadro in cui è inserito il segno distintivo, a seconda che sia centrale o marginale rispetto al messaggio veicolato e a seconda che derivi o meno un eventuale danno di immagine per il marchio. È determinante, insomma, verificare se – principalmente – l’uso del marchio sia ironico e parodistico o sia strumentalizzato, in primo luogo, per trarre un vantaggio economico dalla sua notorietà.
Ovviamente, il caso in esame è solo un esempio di eventuale conflitto tra diritti e libertà fondamentali, che può configurarsi anche in riferimento a espressioni artistiche diverse da quella canora, per esempio, rappresentazioni grafiche, scultoree o di alto artigianato.
Una nota controversia è quella avente per oggetto una scultura (denominata Naked) dell’artista statunitense Jeff Koons, da molti definito come erede di Andy Warhol e continuatore della pop art. La scultura, raffigurante due bambini nudi, è stata giudicata in violazione dei diritti del fotografo francese Jean Francois Bauret  (1932-2014), autore della fotografia riprodotta in cartolina e denominata Enfants.
Le varianti apportate al lavoro in ceramica di Koons, come l’aggiunta di un mazzo di fiori offerto dal bambino alla bambina, non hanno escluso il plagio e non hanno evitato la condanna per danni e spese legali. Con sentenza del 2019, la Corte parigina, ha sottolineato l’impronta personale espressa dal fotografo nella sua opera attraverso un originale concetto di nudo meritevole di tutela tale da prevalere sulla libertà di espressione artistica che, nel caso in questione, tra l’altro, non è configurabile neanche come parodistica.
Questa sentenza è di segno contrario rispetto a un altro precedente canoro, quello della celebre canzone del 1997 “Barbie Girl” (del gruppo musicale danese Aqua) e del relativo video con protagonista la bambola Barbie con il suo fidanzato Ken. La casa discografica ha avuto la meglio sulla Mattel, casa produttrice del giocattolo, che aveva contestato l’uso non autorizzato del marchio Barbie, che appariva, a suo dire, tra l’altro, come volgare oggetto sessuale. In questa controversia ha prevalso la libertà di espressione, in virtù della motivazione per cui il brano costituisce una rappresentazione divertente della società senza essere fuorviante per le condotte d’acquisto.
L’ironia, quindi, può essere una importante discriminante, e ironica, almeno fino a oggi, è stata la reazione sia della Casio che della Renault. A titolo di esempio riportiamo alcune battute riprese dagli account social di entrambe le aziende: “Per tipi e tipe come te, alza il volume!” (con tanto di foto di una Twingo con il numero 22 sulla portiera, riferimento all’età della modella Clara Chia Marti); “Non saremo Rolex, ma i nostri clienti ci restano fedeli”; “Le nostre batterie durano più della relazione tra Piqué e Shakira”; “Piqué è campione del mondo, Piqué è milionario, Piqué è famoso, Piqué ha un Casio: sii come Piqué”.

 

Questa rubrica è curata dall’avvocato Daniela Cola
(www.studiolegalecola.it – studiocola.daniela@alice.it – www.marchiedomini.it)

 

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